La fotografia: misura del reale e di sé stessa. Rileggere Mulas a partire dalle Verifiche

A cura di Davide Tatti

Svuotare e ridefinire un edificio dall’interno, sottrae la memoria di un luogo, com’è successo a Milano per la Stazione Centrale: la ristrutturazione ha cancellato l’originaria fruizione e la storia della vecchia sala d’aspetto, per destinarla a locali commerciali, sostituendo al vuoto dell’attesa il pieno della vendita e acquisto. Ugo Mulas fu testimone ricettivo della Stazione Centrale: le sue foto scattate tra il 1953 e 1954 evidenziano non il momento contingente, ma la condizione sociale dei viaggiatori, le qualità intrinseche di monumentalità e popolarità di quegli interni, che si sono conservate fino agli inizi degli anni Duemila.

«Quelle vecchie foto di gusto neorealista mi sono care, sono i miei primi tentativi di stabilire un contatto fotografico con una realtà»1, così scrive Mulas definendo come un archivio l’insieme delle foto realizzate negli anni a Milano.

Con la maturità Mulas, quando fotografa gli ambienti interni per un reportage sociale, preferisce un’inquadratura che escluda le persone, per definire in maniera simbolica la condizione di chi vi abita: «della città vorrei fotografare soprattutto quello che non si conosce; cioè gli interni, le case, quello che non si vede o non si vuol vedere, o che non si vuol fare vedere, anche gli interni pubblici che non conosco, (…) credo ci sia un modo di fotografare la catapecchia dove una donna vive con i suoi bambini senza metterci dentro né la donna né i bambini, e arrivare comunque a un’immagine eloquente della loro condizione, un’immagine che è obiettiva e al tempo stesso è evocativa di quella gente assente dalla fotografia»2. Il principio Neorealista degli esordi, dove compaiono frequentemente le persone anche come soggetti principali, ha però permesso a Mulas di fornire una base storico-sociale ed etica agli sviluppi successivi, anche quelli più concettuali come le Verifiche.

Il percorso di Ugo Mulas può essere letto a ritroso, partendo proprio dalle Verifiche, da quegli esercizi ultimi sulle operazioni che permettono alla fotografia di compiersi sia come insieme di forme espressive, sia come procedure tecniche codificate. Questa è la chiave di lettura principale proposta dall’Archivio Mulas diretto da Alberto Salvadori e della mostra L’operazione fotografica, allestita prima a Venezia3 e poi a Milano4. Alla realizzazione delle Verifiche Mulas si dedica dal 1968 al 1972, nel pieno della sua attività di fotografo dell’arte contemporanea e commerciale. Questa mostra e il suo catalogo agganciano all’esposizione di tutte le Verifiche un’ampia scelta della produzione di Mulas dagli esordi, suddividendola per nuclei tematici. Le sequenze, svincolate da un rigoroso rispetto della cronologia, attenuano la percezione dello sviluppo storico nella poetica di Mulas, ma ricostruiscono l’impianto ramificato della sua produzione, che non segue un genere specifico, perché li raggruppa tutti: ritratto, architettura, design, moda, spazio urbano, indagine sociale, opera d’arte e ambiente dell’arte contemporanea; non si tratta di ecclettismo in Mulas ma di ampiezza nella visione.

 

Alle Verifiche segue Vitalità del negativo: si tratta della documentazione che Mulas realizzò per la mostra omonima curata da Achille Bonito Oliva nel 1970 sull’arte italiana degli anni Sessanta e Settanta, presso il Palazzo delle esposizioni a Roma; il materiale avrà una pubblicazione specifica dopo quarant’anni. Graziella Leonardi Buontempo che organizzò la mostra scrive: «Il reportage Vitalità del negativo illustra l’evoluzione ultima dell’opera di Mulas, quando il dialogo con gli artisti diventa una riflessione sul mezzo fotografico e sulla sua funzione di documento, dove la fotografia dell’arte è l’analisi del fotografare stesso. Fu proprio Ugo Mulas (…) a esprimere il desidero che questo suo lavoro si trasformasse in un libro»5.

Seguono due sezioni parallele dedicate ad artisti che Mulas documentò ampiamente: Calder e Melotti. Per Alexander Calder, che Mulas conobbe nel 1962 a Spoleto e seguì assiduamente fino New York, vengono evidenziati i caratteri giocosi delle sue sculture e della sua personalità; per Fausto Melotti, invece, Mulas individua una formula di maggiore astrazione, che fa emergere la contiguità dei volumi e la fragilità dei materiali.

I concetti di Interno/Esterno (altra sezione della mostra) vengono esplorati da Mulas in due direzioni: il lavoro degli artisti all’interno dei loro studi, per individuarne i gesti e i processi in atto che portano alla realizzazione di un’opera d’arte. L’esterno invece è indagato da una fotografia che riprende le sculture dislocate fuori dai musei in ambito urbano e industriale, sulla scorta della scelta espositiva di Giovanni Carandente, che curò la fondamentale mostra Sculture nella città nel 1962 a Spoleto: «l’esterno agisce sull’opera e sulla visione che ne dà la fotografia, rendendo vitale il rapporto tra immagine e contesto. Tale passaggio è vivo anche nella sua idea di interno, di come lo studio dell’artista agisca sull’opera e viceversa» come sottolinea Salvadori6.

Un ambito che fornisce a Mulas la possibilità di sperimentazione tematica e formale è quello del Teatro: diviene fotografo ufficiale del Piccolo Teatro di Milano e collabora con Paolo Grassi, Giorgio Strehler e Luca Ronconi tra il 1961 e il 1970. Si occupa di fotografia di scena, adoperando riprese a camera fissa, sotto l’influenza delle regie di Strehler per i testi di Bertolt Brecht. Realizza anche le scenografie, come per l’opera lirica The Turn of the Screw di Benjamin Britten; in questo caso Mulas, evitando i richiami a raffigurazioni naturalistiche, ricorre a interventi massicci in camera oscura, per evidenziare il carattere ambiguo e simbolico delle immagini nelle stampe7.

Le sezioni Luoghi e Un archivio per Milano attingono ai presupposti culturali della formazione di Mulas: il rispetto e la conoscenza dell’ambiente sociale e degli eventi storici, che negli anni Cinquanta venivano sostenuti dalle estetiche del Neorealismo. La città di Milano, dal Bar Jamaica ai territori della trasformazione industriale, sono gli estremi del suo obiettivo; dal 1953 le sue foto vengono pubblicate nelle riviste e giornali, per i quali realizza reportage fino al 1962, spostandosi spesso all’estero. Mulas però abbandona progressivamente il fotogiornalismo per questioni di coerenza deontologica, come scrive personalmente: «Lavorare per un giornale vuol dire essere condizionato dalla politica, che ogni giornale ha e seguire gli avvenimenti, che servono a farlo vendere. Per cui, facendo il fotoreporter, su cinquanta reportage due o tre coincidevano con il mio modo di vedere e gli altri erano fatti soltanto per servire gli interessi del giornale. A questo punto ho pensato che, vendersi per vendersi, tanto valeva dichiararlo apertamente, quindi fare un lavoro veramente commerciale. (…) Ad un certo punto ho cominciato a fare delle fotografie di moda e di pubblicità; mi sembrava più onesto»8.

Parallelamente al lavoro fotogiornalistico Mulas, recandosi alla Biennale di Venezia del 1954 assieme a Mario Dondero, si avvicina all’ambito dell’arte contemporanea, agli autori, al circuito di produzione. La sua fotografia diventa progressivamente sempre più capace di definire l’opera e l’evento artistico nel suo realizzarsi, attraverso sequenze fotografiche che ne testimoniano anche la scansione temporale.

Come evidenzia un’altra sezione della mostra, il ritratto è praticato da Mulas in modo trasversale: da una parte viene inserito in sequenze dove il singolo soggetto non è il tema principale, diventa invece il focus nei lavori commissionati per una determinata personalità. I riferimenti visivi alla storia della fotografia e della pittura sono molteplici, ma i suoi ritratti riescono a mitizzare i caratteri e la gestualità dei soggetti.

Per la fotografia commerciale e di moda, a cui è dedicata un’altra sezione della mostra, il ritratto diventa uno standard, Mulas esclude di inserire degli argomenti, dichiarando di cercare solo forme ed estetiche di superficie. Mettendo però in equilibrio i corpi delle modelle con gli abiti o con gli accessori, Mulas attribuisce senso alla presenza del corpo, che concettualmente precede il prodotto o il manufatto: così accade nelle fotografie di nudo che Mulas realizza nel 1969 per i gioielli di Arnaldo Pomodoro.

La mostra si chiude con il racconto di New York. Dopo aver conosciuto in Italia degli artisti statunitensi, Mulas parte per la metropoli nel 1964, per avere esperienza del loro contesto di provenienza, ci tornerà nel 1965 e nel 1967. La fotografia di Mulas assorbe lo stile di vita degli artisti, che si muovono con disinvoltura tra gli ambienti privati e pubblici, professionali o di intrattenimento, tanto che spesso gli appare necessario soffermarsi più sull’autore che sull’opera; la fotografia stessa contribuisce a creare quelle situazioni in cui gli artisti trovano il canale adatto ad esprimere la loro estetica e visione del mondo. Le fotografie di New York verranno poi esposte in Italia nel 1967 e pubblicate nel volume New York Arte e persone.

Completato questo excursus tematico, si comprende meglio come le Verifiche, accompagnate dai testi di Mulas che le introducono, costituiscano una svolta e maturazione per l’autore, che ritenne necessario portare a piena consapevolezza di idee tutte quelle pratiche legate alla quotidianità del lavoro fotografico: «Nel 1970 ho cominciato a fare delle foto che hanno per tema la fotografia stessa, una specie di analisi dell’operazione fotografica per individuarne gli elementi costitutivi e il loro valore in sé. (…) Ho chiamato questa serie di foto Verifiche, perché il loro scopo era quello di farmi toccare con mano il senso delle operazioni che per anni ho ripetuto cento volte al giorno, senza mai fermarmi una volta a considerarle in sé stesse, sganciate dal loro aspetto utilitaristico».9

Mulas mette in chiaro che la fotografia, come strumento di rappresentazione inserita nel mercato dell’informazione, si fa sempre più strumento di manipolazione dei dati di realtà: «Sognata per lunghi anni dai suoi inventori come portatrice di verità, e quindi come liberazione per l’uomo dalla responsabilità di rappresentazione della stessa, in breve si trasforma nel suo contrario; (…) la fotografia si presta a fare da supporto alle operazioni più ambigue»10. Tanto che si arriva a escludere la fotografia come dato grezzo a favore della sua manipolazione, per fornire un’immagine del mondo consona agli scopi politici o economici: «la storia vera resta negli archivi, è quella abbellita, accattivante, gradevole che viene diffusa»11.  Attraverso gli studi sui formati fotografici e le loro dimensioni, Mulas giunge a fare un parallelo tra la teoria di Marx del salto qualitativo in economia e la fotografia: con l’aumentare quantitativo delle dimensioni del formato fotografico possono ad un certo punto modificarsi i tratti qualitativi e i significati di una fotografia12. Il tema resta di ampia attualità, perché in ambito digitale contemporaneo la variazione del formato e della piattaforma d’uso incide profondamente sulla qualità dei contenuti e dei significati della fotografia.  

Il fotografo analizza le possibilità espressive insite nel dispositivo, durante il viaggio negli Stati Uniti nel 1964; anche per l’interesse che Mulas mostra verso la fotografia di Lee Friedlander, questa modalità trova compimento: «Ciò che mi prese allora fu proprio la constatazione di come il fotografo si lasci portare dalla macchina, e viceversa di come la macchina porta il fotografo»13. La relazione tra la fotocamera e il fotografo causa un adombramento dell’autore nell’inquadratura: chi fotografa non può essere contemporaneamente fotografato: «Ho voluto tornare sul tema dell’autoritratto, del volto del fotografo cancellato o impreciso. Qui, su uno stesso fotogramma, Nini e io siamo insieme: Nini è a fuoco, io sono sfocato. È a fuoco perché ero io a fotografarla. (…) Quando il fotografo lascia l’apparecchio dopo averlo messo a punto, per trasferirsi dall’altra parte, questa realtà non muta e lui continua a non potersi vedere»14. La visione di Mulas a distanza di oltre cinquant’anni viene ribaltata dalla pratica del selfie, dove il fotografo riproduce principalmente sé stesso, autore e soggetto si equivalgono, tutto il resto gli viene gerarchicamente subordinato.

Il nodo teorico principale nelle Verifiche può essere individuato nel processo fotografico che abbandona le forme di una piena presenza autoriale: l’autore determina l’ambito del fotografabile, ma la definizione dell’oggetto avviene principalmente tramite il dispositivo. La fotografia non è mai una riproduzione del mondo, ma un atto di selezione e attribuzione di senso. Mulas applica alla fotografia la logica del ready-made: il fotografo non crea un’immagine dal nulla, ma sceglie e ricontestualizza una realtà già esistente. L’atto creativo sta nella selezione, non nella manipolazione: «Al fotografo il compito di individuare una sua realtà, alla macchina quello di registrarla nella sua totalità. Due operazioni strettamente connesse ma anche distinte che, curiosamente, richiamano nella pratica certe operazioni messe a punto da alcuni artisti degli anni Venti: penso ai ready-made di Marcel Duchamp, a certi oggetti di Man Ray, dove l’intervento dell’artista era del tutto irrilevante sotto l’aspetto operativo, consistendo nell’individuazione concettuale di una realtà già materializzata che bastava indicare perché prendesse a vivere in una dimensione “altra”»15.

Sulla rilevanza in Mulas di questi concetti interviene Alberto Salvadori introducendo la mostra: «Per lui fotografare era sostanzialmente un atto di non intervento. Aborriva l’idea del colpo memorabile. (…) Queste riflessioni ci portano verso un Ugo Mulas intimo, a un lavoro introspettivo dove la ricerca primaria è il senso del reale in opposizione al senso dell’eccezionale. Non si registra mai il desiderio del possesso del soggetto da trasformare in oggetto simbolicamente posseduto»16. Malgrado questo distacco emotivo e riduzione degli elementi formali in fotografia, sulla scorta dello scritto di Salvadori, Mulas pone alla base delle relazioni con i mondi, le persone, gli artisti che fotografa sistematicamente, una relazione di conoscenza, stima e in casi non rari di forte amicizia.

Tra gli interpreti di Mulas mantiene un ruolo primario Germano Celant, che con il suo saggio degli anni Novanta lo ha inserito criticamente nel dibattito della storia dell’arte contemporanea come autore, rileggendo la sua produzione come un’unica e complessa “partitura”. Celant a proposito delle Verifiche, spiega il portato concettuale in Mulas: «attuando un gesto di introversione creativa che lo avvicina definitivamente al linguaggio dell’arte, sostituisce all’inquadratura e al boccascena fotografico una superficie che “non riguarda alcuno”, se non l’idea o il linguaggio della fotografia».17

15 marzo 2025

 

Nota sulla bibliografia recente

L’interesse editoriale verso Ugo Mulas si è intensificato negli ultimi tre anni in seguito alla mostra L’operazione fotografica.

Di prossima pubblicazione sarà una monografia scritta da Elio Grazioli, prevista probabilmente ad aprile 2025 edita da Contrasto. L’ufficio stampa dell’editore precisa che il volume sarà un aggiornamento del testo edito nel 2010 da Bruno Mondadori, corredato da un apparato iconografico più ampio.

Einaudi ha ripubblicato nel 2025 la monografia del 1973: Ugo Mulas, La fotografia.  

Johan e Levi ristampa La vitalità del negativo del 2010, a cura di Giuliano Sergio e con un testo di Achille Bonito Oliva.

L’editore Dario Cimonelli pubblica il catalogo della mostra: Ugo Mulas/Saul Steinberg. Graffiti nel 2024. Il volume raccoglie una serie fotografica del 1962, che Mulas esegue per la decorazione a graffito nella Palazzina Mayer di Milano, realizzata nell’anno precedente da Steinberg e andata distrutta nel 1997.

Humboldt Books ristampa quest’anno il reportage Danimarca, già pubblicato nel 2017, che Mulas fece con i testi del critico letterario Giorgio Zampa. Commissionato a Mulas dall’Illustrazione italiana nel 1961, il progetto evidenzia la contiguità tra fotografia del contesto a quella del soggetto, in modo tale che l’una sia il complemento dell’altra.

Infine, l’editore Giunti con la cura di Alberto Salvadori, nel numero di Art e dossier di dicembre 2024 inserisce una monografia su Mulas. In questo fascicolo il discorso biografico si combina con l’evoluzione della poetica del fotografo.

 

Note all’articolo:

 

1    Lo scritto di Mulas è tratto da: Un archivio per Milano, in La Fotografia, fotografie e testi di Ugo Mulas, Giulio Einaudi Editore, 1973

2    Tratto da: Un archivio per Milano, ibidem

3    Ugo Mulas, L’operazione fotografica. Le stanze della fotografia, Venezia, dal 29/06/2023 al 06/08/2023

4    Ugo Mulas, l’operazione fotografica. A cura di Denis Curti e Alberto Salvadori. Palazzo Reale, Milano, dal 10/10/2024 al 02/02/2025

5    Graziella Leonardi Buontempo, prefazione a: Ugo Mulas Vitalità del negativo, a cura di Giuliano Sergio. Milano, Johan & Levi editore, 2010, pag. 7

6    Il testo di Salvadori è contenuto in: Alberto Salvadori, Mulas. Allegato di Art e dossier, nr 426, dicembre 2024

7   Le considerazioni di Mulas sul teatro sono riportate in: Ugo Mulas, Immagini e testi; catalogo della mostra, testi di Arturo Carlo Quintavalle e Ugo Mulas, Università di Parma. 1973

8    Lo scritto Ugo Mulas è riportato nel fascicolo: Alberto Salvadori, Mulas. In: Art e Dossier nr 426, pag. 13

9   Ugo Mulas, Verifiche. In: L’operazione fotografica; catalogo della mostra. Venezia, Marsilio arte, 2023, pag. 42

10  Ugo Mulas, Verifiche. In: L’operazione fotografica; catalogo della mostra, ibidem, pag. 43

11 Verifica 4, l’uso della fotografia, ai fratelli Alinari, 1971; In: L’operazione fotografica; catalogo della mostra, ibidem, pag. 54

12  Si fa riferimento allo scritto di Mulas contenuto in: Ugo Mulas. Immagini e testi, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Università di Parma, Parma 1973

13  Ugo Mulas, Verifiche. In: L’operazione fotografica;  catalogo della mostra, ibidem, pag. 49

14  Ugo Mulas, Verifica 13, autoritratto con Nini, 1972. In: L’operazione fotografica; catalogo della mostra, ibidem, pag. 70

15  Ugo Mulas, Verifiche. In: L’operazione fotografica; catalogo della mostra, ibidem. pag. 45

16  Alberto Salvadori, Ugo Mulas e l’essenza del tempo. In: L’operazione fotografica; catalogo della mostra.

17  Germano Celant, Spartiti Fotografici. In: Ugo Mulas. Federico Motta Editore, Milano, 1993

 

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