Italia in miniatura: dalla TV del ’78 a Luigi Ghirri

A cura di Davide Tatti

Il concetto di simulacro richiama i significati di immagine e rappresentazione esteriore, modello che tiene conto più della forma esterna che della complessità interna. Nella cultura popolare italiana degli anni Settanta, si è diffusa una pratica simulacrale come emulazione di quanto già consolidato all’estero, che è quella di realizzare le miniature di luoghi e paesaggi estesi, allo scopo di gratificare il pubblico, il quale con uno sforzo minimo può venire a contatto con ambienti distanti nello spazio e nel tempo. Inaugurato nel 1970 e ancora attivo, il parco Italia in miniatura, fu ideato da Ivo Rambaldi a partire dal 1968, che sul modello di altri parchi di miniature in Europa, progetta l’omologo italiano a Viserba di Rimini. Rambaldi tra la documentazione che adopera, si serve ampiamente di fotografie che scatta per migliorare la fedeltà delle riproduzioni. Il maggiore afflusso di turisti verso Italia in miniatura arriva nel 1978, grazie allo strumento che nel periodo era il maggior produttore di materiale audiovisivo: la televisione, che usa i luoghi iconici del parco come sfondo, nel video della canzone il cui ritornello dice “com’è bello far l’amore da Trieste in giù”. Risulta evidente Il richiamo all’ampiezza nazionale del parco, che la televisione usa, perché vuole proporsi come il principale mezzo comunicativo su tutta l’Italia per forte capacità persuasiva. La televisione negli anni Settanta mirava ad un forte impatto sociale e politico, riuscendo a inglobare e usare per le proprie finalità le varie forme di arte popolare, mentre l’interesse commerciale al momento non è ancora prioritario, perché si consoliderà negli anni Ottanta.

Luigi Ghirri, come fotografo, grafico, editore, curatore è stato un contrappunto critico al coevo sistema delle comunicazioni e alla cultura commerciale, ma fu interessato a Italia in miniatura come simulacro dei luoghi storici, e come dispositivo che produce nell’osservatore delle percezioni artefatte, che semplificano estremamente la conoscenza del mondo reale. Ghirri realizza varie sessioni fotografiche nel parco in un arco di dieci anni circa (dal 1975 al 1985 ). Come suggerisce Vanni Codeluppi, Ghirri fotografa Italia in miniatura perché costituisce «un mondo che simula quello esistente, ma che, allo stesso tempo, si presenta anche come qualcosa di differente. Vale a dire, svela la capacità delle rappresentazioni d’ingannarci. E Luigi cerca con le sue scelte d’inquadratura di enfatizzare ancor di più la natura simulacrale di queste architetture».1

Per intraprendere una conoscenza più ampia di tutta la produzione fotografica di Ghirri su Italia in miniatura, un’istituzione di Reggio Emilia, quale Palazzo dei Musei, la espone al pubblico integralmente con un allestimento aperto da aprile al prossimo gennaio 2. Il perno dell’interesse di Ghirri è rintracciabile nel carattere che accomuna la fotografia alla miniatura: entrambe sono delle rappresentazioni in scala, che mostrano la divergenza tra esperienza e sua raffigurazione.

L’indagine condotta sull’archivio di Ghirri, collocato presso la Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia, ha rilevato nel materiale fotografico 220 unità su vari tipi di pellicola. Lo stesso Ghirri aveva suddiviso il progetto con una prima serie chiamata: In scala, alla quale appartengono i negativi di formato 24X36 millimetri, realizzati nella seconda metà degli anni Settanta. Una selezione di trenta fra queste foto è stata messa in mostra presso CSAC di Parma nel 1979, con un testo scritto da Ghirri, che individua nella miniaturizzazione il gesto folle di colui che vuole ridurre spazi e tempi storici distanti in un unico sguardo, ma in questa estrema finzione si produce un nuovo interesse per il mondo reale:

«La celebrazione dei miti, dei luoghi delegati ad una “identità territoriale”, induce ad una immediata ironia sulla follia di questo viaggio, di questo vedere tutto contemporaneamente, distruggendo con lo sguardo i tempi storici, le distanze chilometriche contemporaneamente. Se le analogie con un colossale fotomontaggio sono evidenti, piazza del Palio di Siena con Monte Bianco sullo sfondo, se il tramonto deposita le luci sulle guglie del Cervino e rende rosa le Dolomiti, inizialmente prendono e divertono, piano piano non si riesce a nascondere un dubbio.

È proprio in questo spazio di totale finzione che forse si cela il vero; è qui e solo qui che vedendo San Pietro non sommiamo le immagini mentali, ma riandiamo alla percezione avvenuta nella realtà. Paradossalmente la coppia che si fotografa davanti alla piazza svela il cliché, la copia e lo stereotipo. Camminando riconosciamo gli stili, evochiamo viaggi compiuti realmente, riandiamo al reale e al suo doppio e non viceversa».3

Alcune fotografie della serie In scala vengono inserite da Ghirri anche nel libro Kodachrome, dove l’autore nel suo scritto,  distinguendo i metodi fotografici di riduzione dello spazio in scala, riduzione del tempo ad un unico livello, selezione della realtà percepita, li colloca in un processo di produzione visiva di tipo surreale e non documentale: «La fotografia è già surreale, sempre, nella sua variazione di scala, nella sua sovrapposizione di più anni, nel suo essere immagine conscia, e inconscia del reale cancellato».4

Ennery Taramelli, nel suo commento a una fotografia della serie In Scala, contenuta in Kodachrome, con una lettura psicologica, individua nella figura umana inserita nel paesaggio la presenza speculare del fotografo che da sguardo esterno si cala all’interno dell’ambiente raffigurato: «una volta chiamati a presenza, che i due io tornino a impersonare i loro ruoli, l’uno come spettatore esterno alla scena, l’altro come attore recitante nello spazio mitico e simbolico della finzione narrativa, pare avvalorato dall’apparizione di quest’ultimo, seduto in cima alla vetta di una montagna, voltato di spalle e in posa meditante e contemplativa».5

 

In questa fotografia di Ghirri del 1977 l’inquadratura seleziona una parte dello spazio: lo scorcio con una finta vetta alpina, attraversata in cima da una donna che voltandosi guarda l’orizzonte non visibile dal fotografo. Come non è dato sapere dove vada l’attenzione del soggetto rappresentato, così la fotografia non può raffigurare l’esperienza di chi la realizza, ma solo la modalità con cui osserva porzioni di ambiente. Nell’immagine della sigla televisiva del 1978, l’inquadratura tende invece ad essere onnicomprensiva, la totalità della piazza viene occupata dalla soubrette che, allargando le braccia verso il pubblico, amplifica il significato di totalità rappresentabile dal mezzo televisivo. In questo caso l’immagine virtuale sostituisce il reale, perché il pubblico viene persuaso che attraverso questa nulla può sfuggirgli, quando l’esperienza diretta appare carente.

Il progetto su Italia in miniatura prosegue per Ghirri negli anni Ottanta con la produzione di negativi in medio formato di 6X7 cm. Dell’intero corpus di 220 fotografie quelle stampate dall’autore dal 1978 al 1989, in occasione di mostre e pubblicazioni, sono circa novanta. Le stampe esposte sono tutte coeve a Ghirri, ad eccezione di due edizioni contemporanee; la qualità modesta delle stampe vintage solleva il problema della conservazione come sottolineato in un convegno del 2013 da Arturo Carlo Quintavalle, che richiedeva la scansione digitale di tutti i negativi, per averne stampe di qualità e non dover manipolare i negativi analogici originali danneggiandoli6.

L’esposizione presso Palazzo dei Musei mette in relazione la serie di Ghirri con il materiale preparatorio prodotto da Ivo Rambaldi, i quali con chiara evidenza mantengono due approcci alla fotografia opposti e divergenti: «mentre Ghirri se ne serve come dispositivo per mettere in discussione il nostro rapporto con la realtà, Rambaldi la utilizza come strumento di lavoro. Allo sguardo consapevole di Ghirri, interessato proprio agli aspetti problematici sollevati dal mezzo, fa da contrappunto l’approccio “ingenuo”, ma comunque autentico, di Rambaldi, che vede nell’istantanea la garanzia di una fedele registrazione della realtà», come indicato nelle tavole dell’allestimento.

Per instaurare invece un confronto con l’ampia portata della lezione di Ghirri la mostra espone gli esiti di un workshop tenutosi nel 2019 da Matteo Guidi e Joan Fontcuberta con gli studenti dell’ISIA di Urbino. I lavori prodotti indagano le modalità di ricezione visiva dell’ambiente urbano, attraverso dei sopraluoghi fotografici preso il parco Italia in miniatura, che negli anni si è esteso con maggior apporto tecnologico, rispetto agli anni Settanta e Ottanta di Ghirri.  L’idea di fotografia restituita dal workshop è quella di un medium sempre più integrato con le tecnologie grafiche e visive, perché le procedure fotografiche, di fronte alle quantità crescenti di dati da gestire, hanno dovuto abbandonare la separazione delle competenze tipica della produzione analogica.

1 Vanni Codeluppi, Vita di Luigi Ghirri. Roma, Carocci editore, pag. 43

 

2 In scala diversa, Luigi Ghirri, Italia in miniatura e nuove prospettive. Reggio Emilia, Palazzo dei Musei, dal 29 aprile 2022 all’ 8 gennaio 2023

 

3 Luigi Ghirri, In scala. 1977-1978. In Niente di antico sotto il sole. Scritti e interviste 1973 -1991. Introduzione di Francesco Zanot. Quodlibet, 2021. Pag. 59-60

 

4 Luigi Ghirri, Kodachrome, 1970-1978. in Niente di antico sotto il sole; pag. 35

 

5 Ennery Taramelli, Memoria come infanzia. Il pensiero narrante di Luigi Ghirri. Parma, Edizioni Diabasis. 2017; pag 125.

6 Carlo Arturo Quintavalle, intervento al “Ghirri Research Project 2013-2015” https://www.youtube.com/watch?v=hjs_q0gOOFU

DAVIDE TATTI  – Nato in  Sardegna, ha completato la formazione a Milano. A partire dal disegno industriale, si è indirizzato verso la grafica editoriale e fotografia, preferendo progetti di ambito culturale.

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