di Antonella Di Girolamo
Direttore Responsabile
Casa, quattro lettere per contenere un significato millenario. Lontani ricordi scolastici fanno ripensare alla tipologia delle case nella storia. S’iniziava dalle caverne, vissute come rifugio e protezione, per arrivare alle case edificate dall’uomo. Nei secoli le abitazioni diventano sempre più resistenti e durature per passare di generazioni in generazioni, e nella permanenza, non più rifugio ma luogo dove poter accumulare. Dalle capanne e palafitte il cammino ci ha portato fino a edifici dove, l’inquilina per eccellenza, onnipresente e onnipotente, è al momento la tecnologia.
Gli antichi e grandi castelli, abitati da pochi, ora sono imponenti castelli abitati da tanti, specialmente nelle periferie tutte da edificare. Condomini uguali e ripetitivi nei loro blocchi, dove l’unica via di fuga dall’omologazione sono i fiori sul balcone e le tendine. Se si digita la parola “casa” su un motore di ricerca, le prime decine di pagine sono sul mercato immobiliare. Sono descritte con dovizia di particolari abitazioni che si vendono, si comprano e si affittano. Poi c’è quella “altra” casa quella che non è comprabile né vendibile, quella che si trasforma e diventa appartenenza. La casa che racconta degli umani e delle cose degli umani.
I ricordi sono chiusi negli oggetti e la memoria si trasforma nel tempo, quando i rimpianti nascondono nostalgie e tristezze mai sopite. Case che custodiscono gli odori e i profumi, case che, forse, tornano a essere rifugio. Perché la casa quella “altra”, quella che ci appartiene, che ci nutre e che ci segue, come il guscio segue Bernardo, il paguro, è fatta di piccole cose e del piacere che ne scaturisce. Casa? Casa! È quella che ci appartiene. Per sempre. Incredibilmente.